Chi ha superato determinati requisiti può andare in pensione all’età di 58 o 63 anni. Analizziamoli nei dettagli.
Il pensionamento può spesso essere percepito come una gradita tregua dalle esigenze dell’età e degli obblighi familiari, o dagli sconvolgimenti che interessano il mercato del lavoro, che a volte possono portare al malcontento.
Per quei lavoratori precari che si trovano nell’impossibilità di assicurarsi un nuovo impiego dopo che la loro azienda ha chiuso solo pochi anni prima del pensionamento, la prospettiva di ricevere una rendita anticipata può sembrare la risposta ai loro problemi.
Tuttavia, è importante essere consapevoli degli svantaggi che derivano da questa opzione, come il pagamento ridotto che verrà ricevuto.
A seguito di numerose riforme, ora ci sono abbondanti possibilità per i piani pensionistici in Italia, tra cui l’opzione donna, la quota 103 e l’Ape sociale.
Tuttavia, coloro che cessano di versare i contributi prima della data prevista possono incorrere in diverse sanzioni, alcune delle quali possono durare per tutta la durata della loro anzianità, altre in modo permanente senza possibilità di ricorso.
Esiste una regola rigida senza eccezioni, in cui le persone che lavorano per un periodo più lungo ricevono un’indennità più consistente.
Inoltre, se due dipendenti contribuiscono con lo stesso importo, quello che andrà in pensione più tardi riceverà un’indennità maggiore. L’importo del contributo aumenta solo per coloro che continuano a lavorare.
Soldi in meno con Opzione donna
Coloro che hanno svolto attività di lavoro subordinato o autonomo e hanno versato contributi integrali per 35 anni entro la fine del 2021 hanno la possibilità di andare in pensione anticipata, anche se hanno solo un’età compresa tra i 58 e i 59 anni.
Ma andrebbero incontro a una notevole riduzione della pensione, pari ad un terzo in meno rispetto all’importo originario.
Tale esito è irreversibile e chi decide di procedere al pensionamento anticipato deve accettare l’importo ridotto per il resto della propria vita.
Il regime contributivo vale per tutti, compresi quelli della categoria mista. La stessa regola si applica anche a coloro che prima del 1996 avevano una carriera lavorativa superiore a 18 anni e avevano diritto a ricevere uno stipendio fino alla fine del 2011.
L’Opzione donna nei tempi attuali segue lo stesso meccanismo di calcolo di prima, ma con un requisito di età superiore a 60 anni.
Inoltre impone 35 anni di contributi, ma con un gruppo demografico più piccolo che ne ha diritto, come badanti, invalidi, lavoratori licenziati o impiegati in aziende che hanno implementato misure di crisi.
La pensione per chi sceglie l’Opzione donna non viene mai aumentata. In realtà, scegliere questa opzione implica rimanerci per tutta la vita, con le stesse prestazioni pensionistiche ridotte che possono essere abbassate anche di oltre il 30%, come spesso rilevato dai tecnici.
Allo stesso modo, scegliere l’Ape sociale comporta anche dei sacrifici economici.
Penalizzati anche coloro che scelgono l’Ape sociale
Il programma Ape sociale offre un’opzione per il prelievo anticipato dei contributi per le persone che hanno versato contributi tra i 30 e i 36 anni.
Questo programma può avere un impatto significativo su coloro che hanno iniziato la loro carriera in ritardo e hanno bisogno di andare in pensione prima del previsto.
In particolare, i soggetti che rientrano in determinate categorie come gli invalidi, le badanti, i disoccupati o coloro che svolgono lavori fisicamente impegnativi possono percepire l’assegno già a partire dai 63 anni.
L’importo della rendita è subordinato al regime misto, ma è importante si noti che devono essere accettati anche tagli significativi.
Bisogna rinunciare alla tredicesima mensilità, rinunciare alla reversibilità in caso di morte, e non percepire alcun aumento della previdenza sociale.
Non si possono sommare gli assegni familiari, né si può beneficiare dell’indicizzazione ai tassi di inflazione.
Inoltre, l’indennità mensile massima non può superare i 1.300 euro. Queste sanzioni colpiscono chi esce per primo.
L’opzione donna richiede un regime a vita, mentre l’ape sociale ha dei limiti a causa dei suoi tagli.
Tuttavia, al compimento dei 67 anni, i pensionati hanno la possibilità di richiedere il ricalcolo, che consente loro di ottenere la rendita ordinaria di vecchiaia pur beneficiando del regime.
Limiti e divieti per Quota 103
Per aderire a Quota 103 è necessario un iter che vieta la cumulabilità del reddito da lavoro con la rendita.
L’unica eccezione a questa regola è il lavoro occasionale, purché non superi una soglia di reddito aggiuntivo di 5.000 euro annui.
Per coloro che desiderano tornare al lavoro, è necessaria la pazienza. A 62 anni e con un minimo di 41 anni di contributi versati, segue un periodo di pausa di cinque anni.
Solo una volta raggiunta l’età di 67 anni ed entrata in regime di rendita di vecchiaia si può uscire dalla Quota 103 per riprendere l’attività lavorativa.
Inoltre, c’è un’altra limitazione da considerare. L’assegno assegnato ai titolari di Quota 103 ha un tetto massimo pari a cinque volte la retribuzione minima, che attualmente è di 567,94 euro nel 2023.
Di conseguenza, i pensionati con Quota 103 non riceveranno quest’anno più di 2839,70 euro.