Chi ha giardini o terreni destinati alla coltivazione, potrebbe non sapere se è illegale o meno bruciare l’erba, sterpaglie o rami secchi. Vediamo cosa dice la legge in merito.
Secondo il codice civile, è illegale che fumi e calore permeano le proprietà vicine se le emissioni superano lo standard accettabile di tolleranza.
Ciò significa che se un falò viene appiccato vicino al confine di una proprietà o in un modo che fa sì che il vento porti ceneri e fiamme su una proprietà vicina, potrebbe comportare un’azione legale per danni, anche se tale evento è raro e isolato.
Il concetto di “normale tollerabilità” è volutamente ampio, consentendo ai giudici di valutare i casi su base individuale, tenendo conto di specificità come la posizione geografica del terreno (se si tratta di un’area urbana, agricola o coltivata), le dimensioni, la destinazione d’uso e altri fattori rilevanti come richiesto dalla legge.
Il codice civile intende trasmettere un messaggio semplice attraverso queste parole apparentemente vaghe: non dare fastidio al vicinato.
Si commette reato civile bruciando sterpaglie e rami secchi vicino al terreno di un vicino solo se il fumo o il calore superano la normale tollerabilità, rendendola insopportabile per la persona colpita. In tali casi il vicino può agire per chiedere il risarcimento dei danni.
È illegale bruciare l’erba, rami e sterpaglie in giardino?
Una volta completato l’analisi dei rapporti tra privati cittadini, quali i vicini in un contesto di diritto civile, è imperativo esaminare il rapporto tra la pubblica amministrazione e il proprietario sia in un contesto penale che amministrativo.
La questione da analizzare è se l’atto di bruciare le sterpaglie sia considerato illegale o meno.
Partiamo dal presupposto che nella valutazione di qualsiasi comportamento, anche criminale, vi sia un grado di razionalità che consente di trascurare azioni del tutto innocue.
Consideriamo un contadino che brucia un mucchietto di foglie secche che non misura più di due palmi.
La legge consente anche la raccolta e l’incenerimento di piccoli cumuli di materiale vegetale in quantità giornaliere fino a tre metri cubi per ettaro nel luogo di produzione, purché costituiscano “normali pratiche agricole”.
Esistono più regolamenti all’interno del nostro quadro giuridico che penalizzano le persone che inceneriscono sterpaglie, ramoscelli aridi e rifiuti vari. Esaminiamo queste regole in dettaglio.
Il reato di appiccare un incendio è esplicitamente delineato nel codice penale, che recita: “Chiunque accenda intenzionalmente un incendio è soggetto alla reclusione da tre a sette anni“.
Tale disposizione si applica anche ai casi in cui un incendio è divampato sulla propria proprietà, purché metta in pericolo l’incolumità pubblica.
Per chiarire, la commissione di questo reato non richiede che un individuo dia fuoco a proprietà demaniali, foreste o giardini, né è limitato alle terre di altri individui.
Costituisce violazione di legge l’atto di incendiare la propria proprietà se comporta un rischio per l’incolumità pubblica.
Pertanto, anche un piccolo incendio lasciato incustodito e che potrebbe potenzialmente propagarsi a causa del vento è soggetto a ripercussioni legali.
Cosa dice la Cassazione
Nonostante il pericolo per l’incolumità pubblica possa non essere necessariamente determinato da vaste fiamme e dalla loro propensione a propagarsi, la Cassazione ha stabilito che l’incendio colposo del proprio terreno può derivare dalle conseguenze dirette di calore, fumo, carenza di ossigeno e persino il rilascio di gas pericolosi dai materiali in fiamme.
La Cassazione ha anche stabilito che il reato di incendi boschivi si estende alle espansioni fondiarie in “boscaglia”, “macchia mediterranea” e “sterpaglia”, in quanto il legislatore intendeva garantire la tutela delle entità naturalistiche necessarie alla vita.
Come argomentato da altra giurisprudenza, tale reato di incendio boschivo può configurarsi indipendentemente dalla specifica vegetazione presente sul terreno, purché l’area contenga boscaglia, sterpaglie o altri tipi di vegetazione.