Nel caso in cui un dirigente fissa la riunione di lavoro durante la pausa pranzo, va ugualmente retribuita al lavoratore che ha partecipato? Scopriamolo.
L’orario di lavoro è quel periodo di tempo all’interno del quale il lavoratore è a completa disposizione del suo datore di lavoro.
È obbligato, quindi, a portare avanti le proprie mansioni o un’attività che gli viene assegnata dal datore di lavoro. In caso contrario, si parla di riposo o pausa.
A stabilire l’orario lavorativo normale è la legge, la quale stabilisce che le ore settimanali devono essere 40, salvo deroghe dei CCNL di categoria, le quali possono abbassare l’orario normale.
È il caso del CCNL Autoscuole, il quale ha stabilito che l’orario di lavoro debba essere di 39 ore alla settimana. Potrebbe anche essere calcolato in un periodo plurisettimanale come media.
L’orario di lavoro straordinario è diverso dall’orario di lavoro normale, in quanto eccede le 40 ore a settimana.
La legge dispone che deve avere dei limiti di durata ben precisi, va pagato a parte e compensato con retribuzione maggiorate oppure con ore di riposo.
Entrando nello specifico, l’orario di lavoro straordinario non può superare le 48 ore medie lavorative settimanali, nell’arco temporale di 4 mesi e fino al massimo di 250 ore annuali.
È ammissibile soltanto se c’è un accordo tra lavoratore e datore di lavoro. Il primo potrebbe anche rifiutarsi, quindi, di lavorare oltre l’orario normale stabilito per contratto.
Esistono, però dei casi che consentono l’ammissione senza considerare la volontà del lavoratore dipendente:
- esigenze eccezionali di natura produttiva o tecnica, le quali non possono essere fronteggiate assumendo altri lavoratori;
- casi di forza maggiore che potrebbero causare danni immediati o gravi se la prestazione straordinaria non viene portata a termine;
- eventi come fiere, mostre o manifestazioni legate all’attività produttiva.
Riunione di lavoro: va retribuita se svolta durante la pausa pranzo?
Siccome sono eventi che hanno finalità organizzative, formative o informative, le riunioni di lavoro che richiedono la partecipazione dei dipendenti rientrano nell’orario lavorativo. I partecipanti sono a completa disposizione dell’azienda fino a quando verranno svolte.
Quindi, se le riunioni di lavoro vengono organizzate nell’orario lavorativo normale, vanno remunerate regolarmente al dipendente come se, durante la durata della riunione, svolgesse le sue mansioni ordinarie.
Invece, se vengono organizzate oltre l’orario di lavoro, tipo la sera quando finisce il turno oppure durante la pausa pranzo, vengono considerate ore straordinarie di lavoro e, quindi, vanno remunerate alla stregua di un lavoro straordinario.
Alternativamente alla remunerazione, le ore straordinarie delle riunioni di lavoro che avvengono al di fuori dell’orario lavorativo possono essere compensate concedendo ore di riposo in più.
Sempre nel caso di riunioni organizzate al di là del normale orario di lavoro, il dipendente è legittimato a rifiutarsi dal partecipare.
Il cosiddetto “tempo tuta”
Da diverso tempo viene dibattuta nell’ambito della giurisprudenza il cosiddetto “tempo tuta”, ovvero il tempo che occorre al lavoratore di levarsi di dosso la divisa che gli è stata imposta dal proprio datore di lavoro per svolgere la mansione lavorativa. La questione è se deve essere o non essere considerato come orario lavorativo.
Due sono le ipotesi avanzate dalla Corte di Cassazione. La prima riguarda la possibilità del lavoratore di ricevere in dotazione l’indumento da lavoro, portandoselo a casa.
Se va a lavoro con gli indumenti addosso, il tempo tuta non viene considerato come orario lavorativo.
La seconda ipotesi è che il lavoratore, nonostante abbia ricevuto la divisa di lavoro, è obbligato a indossarla soltanto sul posto di lavoro. Il tempo di vestirsi e svestirsi rientra nell’ambito dell’orario lavorativo, quindi andrebbe retribuito dopo computazione.
Quanto avanzato dalla Corte di Cassazione è stato ribadito ufficialmente dal Ministero del Lavoro, tramite l’interpello n. 1 del 23 marzo 2020.
Riassumendo, se il lavoratore sceglie in modo indipendente dove indossare la propria divisa, il tempo necessario per farlo non deve essere retribuito.
Se, invece, è il datore di lavoro a imporre l’operazione di vestizione indicando sia il tempo che il luogo di esecuzione, questa rientra nell’ambito del lavoro effettivo; quindi, il tempo necessario per farlo va retribuito.