Ci sono casi in cui il lavoratore può perdere il proprio impiego, qualora l’azienda decida di ammortizzare i costi. Ecco quali sono.
In alcuni casi, il lavoratore può perdere il proprio posto di lavoro, qualora l’azienda decida di ridurre le spese. Sembra paradossale, ma – in realtà – questo tipo di situazione si può verificare, anche in presenza di tutele. Ecco quali sono i casi specifici.
Vi sono alcuni casi in cui il lavoratore può essere licenziato, nel momento in cui l’azienda intende risparmiare sulle spese.
Una condizione che, seppur non frequente, è fattibile e può riguardare qualsiasi dipendente. Nel momento in cui datore di lavoro decide di tagliare delle risorse, il giudice non può sindacare la sua scelta che è compiuta, quantomeno in via teorica, per motivi organizzativi, economici e produttivi.
Certamente, il datore di lavoro deve dimostrare che sussistano tali ragioni, facendo capire che, alla base delle sue scelte, vi siano delle motivazioni non arbitrarie. La Cassazione, in tal senso, è intervenuta in materia, al fine di chiarire meglio quando il licenziamento è giustificabile al fine del contenimento dei costi.
La Cassazione ha stabilito che il licenziamento per contenimento delle spese e dei costi è totalmente legittimo, purché sia giustificato da motivazioni valide che rispecchino l’effettiva difficoltà in cui si ritrova l’azienda nel momento in cui decide di tagliare il personale.
Quando il dipendente o perde il suo posto di lavoro ha comunque diritto all’assegno disoccupazione, definito NASPI e al TFR, alla 13ª, la 14ª e alle mensilità che ha maturato. Incluse nelle spettanze, anche le varie ferie maturate e non godute, che sono corrisposte sotto forma di denaro.
Anche se il licenziamento per la riduzione dei costi è legittimato dalla Cassazione, anche in questi casi bisogna che il datore di lavoro utilizzi una certa discrezionalità, non potendo, nei fatti, licenziare con libero arbitrio.
Come già anticipato, infatti, il licenziamento deve far leva su criteri ragionevoli e concretamente corroborabili, tenendo in considerazione la libertà di iniziativa economica e delle responsabilità che intervengono qualora ci fossero casi di insolvenza.
Il datore di lavoro, dunque, anche nel caso in cui debba necessariamente ridurre i costi della propria azienda, deve rispettare i criteri imposti, in questi casi, per licenziamenti collettivi, che tengono conto, nei fatti, di i parametri molto importanti come i carichi familiari, i bisogni tecnico-produttivi ed organizzativi, nonché l’anzianità di servizio.
Il dipendente, ad ogni modo, può difendersi da un licenziamento ingiustificato, qualora pensi di essere stato mandato via dal posto senza una ragione verificabile.
Pertanto, può impugnare il licenziamento entro 60 giorni dalla comunicazione ricevuta e inviare una lettera di contestazione al datore di lavoro. Il legale del dipendente licenziato, infine, avrà disposizione 180 giorni per depositare il ricorso in tribunale.