Secondo uno studio, le plastiche termoindurenti possono essere sottoposte al processo di riciclo. Ecco come è attuato.
La “famiglia” delle materie plastiche può essere suddivisa in tre grandi sottogruppi, che si distinguono per caratteristiche fisiche, comportamenti e utilizzi diversi in campo industriale. Tra questi, ci sono le plastiche termoindurenti che, secondo un recente studio, possono essere sottoposte a riciclo.
Le plastiche termoindurenti sono caratterizzate da una proprietà particolare: a causa della loro struttura molecolare, quando riscaldate diventano inizialmente morbide (e quindi facilmente lavorabili) e, successivamente, si induriscono grazie ad un processo di reticolazione tridimensionale.
Ciò significa che è possibile creare oggetti di ogni tipo i quali, una volta raffreddati, risulteranno particolarmente rigidi, grazie alla creazione di legami resistenti tra i polimeri che li compongono.
Un’altra caratteristica delle plastiche termoindurenti è la loro tendenza a decomporsi e a carbonizzarsi se riscaldate una seconda volta. Il reticolo tridimensionale che si forma durante la fase di raffreddamento, infatti, è talmente rigido che una seconda esposizione al calore non porta allo scioglimento della plastica, bensì al suo definitivo degrado.
Grazie a queste caratteristiche, le plastiche termoindurenti trovano largo impiego come materiali da stampa, isolanti e nel settore delle vernici.
Il gruppo di chimici del MIT di Boston ha condotto uno studio, pubblicato su Nature, nel quale i ricercatori hanno prodotto la pDCPD, una versione degradabile di una plastica termoindurente. L’hanno, poi, scomposta in polvere e utilizzata per la realizzazione di altri pDCPD.
Questo approccio, inoltre, è stato proposto, dagli stessi scienziati, come metodo da mettere in pratica anche per altre tipologie di plastiche e polimeri, tra i quali c’è anche la gomma.
Una volta raffreddatesi, le plastiche termoindurenti possono essere ricondotte, in maniera facile, allo stato liquido, in quanto i legami che si formano tra le molecole di polimero sono difficili da spezzare.
Se sottoposte a riscaldamento, nella maggior parte dei casi, bruciano per poi poter essere rimodellate. Inoltre, aggiungendo dei monomeri di silil etere ai precursori liquidi, che sono alla base di questo materiale, lo stesso può essere sottoposto a scomposizione e, dunque, diventare una polvere solubile all’esposizione agli ioni di fluoruro. Pertanto, lo stesso materiale mantiene la sua resistenza meccanica.
Come ha spiegato Geremia Johnson, che fa parte del team di ricerca, si può, dunque, rendere degradabile il pDCPD, “senza comprometterne le proprietà meccaniche utili“.
La polvere ottenuta, poi, all’interno di questo studio, è stata utilizzata, in una seconda fase, dagli stessi ricercatori per formare un nuovo materiale. I ricercatori, in tal senso, hanno dissolto tale polvere nella soluzione utilizzata per la produzione del pDCPD, riuscendo a realizzare nuovi termoindurenti dotati delle stesse proprietà meccaniche.