I batteri mangia plastica potrebbero aiutarci, in futuro, ad affrontare il problema spinoso dello smaltimento di tale materiale nell’ambiente.
I batteri mangiatori di plastica potrebbero – in futuro – darci una mano a smaltire quantomeno una parte delle tonnellate di plastica scaricate, ogni anno, negli oceani. L’inquinamento causato dalla plastica, d’altronde, ha un grave impatto sugli ecosistemi marini ma non solo: può danneggiare seriamente anche la salute dell’uomo. Non solo: i rifiuti possono arrivare a soffocare gli animali, portandoli alla morte.
Molte specie marine ingeriscono microplastiche che, di solito, peschiamo in qualità di cibo. Le microplastiche rilasciano contaminanti tossici, una volta ingerite, che sono trasferite, di conseguenza, all’organismo che le ingerisce.
Queste tossine – poi – vanno ad accumularsi e a trasferirsi lungo la catena alimentare degli esemplari marini agli esseri umani, nel momento in cui mangiamo prodotti ittici.
La maggior parte della plastica si accumula nelle discariche o è bruciata negli inceneritori, rilasciando fumi tossici.
Nel mese di marzo 2016, gli scienziati giapponesi hanno raccolto fanghi dall’esterno di un impianto di riciclo di bottiglie a Osaka, scoprendo una specie di batteri che avevano sviluppato la capacità di decomporre, o “mangiare”, la plastica.
Si ratta del batterio Ideonella sakaiensis, che, nel dettaglio, è riuscito a mangiare un determinato tipo di plastica chiamata PET, con la quale, di solito, si realizzano le bottiglie.
Un giorno, dunque, il batterio in questione potrebbe aiutarci a combattere questo problema e, in futuro, si potrebbe ipotizzare la costruzione di impianti su scala industriale affinché gli enzimi mastichino mucchi di plastica destinata alle discariche o presenti all’interno di fiumi e oceani.
Gli esperti, però, tengono a precisare che l’utilizzo dei batteri mangia plastica è ancora del tutto sperimentale e che, ci vorrà ancora tempo per poterli utilizzare in via ufficiale.
Un team di ricercatori dell’Istituto federale svizzero WSL stava studiando i microbi in Groenlandia, a Svalbard e in Svizzera quando ha scoperto che alcuni di essi potrebbero degradare la plastica a temperature di 15 gradi Celsius.
In precedenza gli scienziati avevano scoperto che i microbi si comportavano in questo modo solo ad alte temperature, intorno ai 30°C.
Nell’ambito della ricerca, il dottor Joel Rüthi del WSL e il suo team hanno prelevato campioni di 34 tipi di microbi – 19 tipi di batteri e 15 tipi di funghi – che crescevano sulla plastica rimasta per un anno nei territori in esame.
Hanno, poi, lasciato che questi minuscoli organismi crescessero al buio a temperature di 15°C in un laboratorio prima di vedere se sarebbero stati in grado di scomporre la plastica.
Le materie plastiche testate includevano il polietilene (PE) – che non è biodegradabile – poliestere-poliuretano (PUR) – che è biodegradabile – e altre due miscele plastiche biodegradabili, polibutilene adipato tereftalato (PBAT) e acido polilattico (PLA).