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Cibo stampato in 3D arriva nei supermercati: è la via per un futuro alimentare sostenibile?

Attraverso uno studio nuovo, reso pubblico su Nature Food, pare che il sistema alimentare del mondo intero sia responsabile del 35% delle emissioni di gas serra. Ed è per tale ragione chi si sta pensando di sfruttare le stampanti 3D anche per il cibo. Ma vediamo insieme di cosa si tratta.

Stampante 3D- Oipamagazine.it

Tutti i disastri ambientali vanno a minacciare la produzione alimentare. Per superare tale sfida nel corso degli ultimi anni, numerose sono le soluzioni che si sono cercate tra cui anche uno sviluppo di carni alternative o di alimenti con un elevato consumo di risorse ed energia. Una delle innovazioni che spicca più di altre e la tecnologia della stampa 3D per uso alimentare.

Il funzionamento della stampa 3D alimentare

La stampante 3D all’inizio era stata sviluppata per essere utilizzata con la plastica anche se, poco alla volta, ha ampliato la sua applicazione andando ad utilizzare anche prodotti differenti.

Attualmente si sta studiando il modo per sfruttarlo anche all’interno del settore alimentare.

Nel mese di marzo del 2023 alcuni ingegneri della Columbia University, hanno dato vita ad una stampante alimentare andando a trasformare polvere alimentare e cartucce di pasta in veri e propri pasti.

Il procedimento per la stampa 3D del cibo è il medesimo della stampa di ogni oggetto. Come punto di partenza ci si basa su un modello digitale realizzato su un computer che viene poi stampato andando a sfruttare la tecnica FDM, ossia “Fused Deposition Modeling”.

Tale processo vede la presenza del deposito di strati successivi di materiali sovrapposti l’uno all’altro, dando così vita all’oggetto la cui caratteristica è quella di possedere una struttura a strati.

Stampante a lavoro- Oipamagazine.it

Durante il processo di stampa 3D per il cibo, si ottiene il materiale semisolido attraverso lavorazioni come frullatura, triturazione e taglio della materia prima.

In molti casi si uniscono anche degli additivi conosciuti con il nome di idrocolloidi al fine di rendere più coesa la sostanza.

Si tratta di un qualcosa di fondamentale importanza per fare in modo che il materiale conservi la forma progettata nella fase digitale.

Per cosa può essere utilizzato il cibo 3D

La stampa 3D può essere considerata come una tecnologia anti spreco in quanto va ad aggiungere del materiale solo dove è necessario, andando così a limitare gli sprechi e ottenendo un impatto positivo sullo stesso ambiente.

La precisione e la riproducibilità della stampa danno la possibilità di fare in modo che si evitino gli sprechi alimentari, andando ad utilizzare solo ciò che è necessario.

Inoltre la stampa 3D è al primo posto anche per sopportare innovazione del “non-conventional food”.

Attraverso la stampante, si riesce anche a rendere più appetitosi anche tutti quei cibi creati con gli insetti in modo tale da andare oltre la barriera mentale che blocca in molti a consumare questo tipo di animale.

Inoltre l’utilizzo della stampante 3D potrebbe spingere ad un acceleramento di tale cambiamento.

Esistono però delle preoccupazioni inerenti al fatto di inserire cibo in 3D. Un argomento su cui si è discusso a lungo e in cui è arrivati a capire che la stampa di questi prodotti non è molto differente dal cucinare, tranne che ingredienti non vengono inseriti in una pentola ma all’interno di una macchina in cui vengono poi assemblati.

Alcuni esempi di alimenti in stampa 3D

La tecnologia della stampa di alimenti in 3D si è evoluta al punto che all’interno di un supermercato austriaco sono stati già proposti i primi prodotti realizzati in questo modo, ossia in particolar modo del filetto di salmone.

Stampante 3D per creare alimenti- Oipamagazine.it

Non si tratta di un vero e proprio salmone ma di un prodotto vegano creato con micro proteine che si ottengono da funghi filamentosi e al cui interno ci sono molti acidi grassi, vitamina e Omega 3, le stesse caratteristiche del classico salmone.

Un prodotto però decisamente molto più amico dell’ambiente in quanto la produzione di tale filetto va ad emettere dal 77% all’86% in meno di anidride carbonica e ha bisogno del 95% in meno di acqua dolce a differenza della pesca e la lavorazione classica del salmone.

Per il nostro stato, la vendita di un alimento che vede il nome di salmone anche se è composto da proteine proteine vegetali, non è consentito.

Infatti, durante il mese di luglio dell’anno in corso, la Lega ha vietato l’uso di nomi che si riferiscono alla carne su prodotti che però sono plant-based.