In che modo un lavoratore deve comportarsi nell’eventualità che il datore di lavoro non gli versa i contributi? Ecco cosa dice la legge.
Non capita spesso, per fortuna, ma se dovesse capitare, meglio sapere cosa accade e come muoversi. Di cosa stiamo parlando? Dell’eventualità che il datore di lavoro non versa i contributi al proprio dipendente.
In questo caso, il lavoratore dipendente riesce ugualmente a preservare il diritto alla pensione, almeno finché non vanno in prescrizione i versamenti.
Andiamo adesso a vedere la modalità di funzionamento della procedura che va attivata per avere i contributi previdenziali non ancora saldati dal datore di lavoro titolare dell’impresa e come bisogna agire in tale situazione.
Il Codice Civile prevede quello che viene chiamato “principio di automaticità delle prestazioni”, su cui il lavoratore può fare affidamento.
L’art. 2116, comma 1, del C.c., ribadito dalla stessa Costituzione al comma 2 dell’art. 38, sancisce infatti il diritto da parte dei lavoratori alla tutela previdenziale.
Il principio entra in campo quando i contributi non sono stati prescritti, ovvero il periodo di tempo stabilito dalla legge non è ancora trascorso, che è di 5 anni. Quindi, il lavoratore in questione può far valere il suo diritto.
Passato tale termine, il dipendente può chiedere il risarcimento dei danni al proprio datore di lavoro per via dell’omissione contributiva.
Da quanto detto non rientrano coloro che sono iscritti alla gestione separata e gli autonomi. Stesso dicasi per i lavoratori parasubordinati.
Sempre per questa particolare questione, è stata paventata anche la possibilità di un versamento volontario dei contributi INPS in modo che la pensione maturi, ma non può essere attuata.
Con la sentenza 2164/2021, la Corte di Cassazione ha spiegato che nell’eventualità di contributi non versati e poi prescritti, il lavoratore dipendente non potrà chiedere all’Istituto previdenziale di accertare l’esistenza del rapporto lavorativo subordinato.
Può, però, comunicare all’INPS la situazione in modo che l’ente previdenziali si attivi per recuperare quanto spettante, procedendo contro il datore in giudizio.
Nell’ipotesi in cui i cinque anni siano trascorsi, la richiesta della regolarizzazione della posizione diventa impraticabile.
Il dipendente, però, avrà la tutela da parte della rendita vitalizia, la quale è una somma che viene pagata a vita, con tempistiche che vengono concordate con la società di assicurazione e inserite nel contratto.
A tal proposito, al lavoratore è consentito agire nei confronti del datore per chiedere il risarcimento del danno. A dirlo è la sentenza della Corte di Cassazione n. 3790 del 1988.
Questa situazione va a determinare la possibilità di attuare da parte del lavoratore il danno patrimoniale, che dovrà essere risarcito.