Oggi, ciò di cui vi parliamo, è Great Resignation, un tema sconosciuto a molti. Cercheremo di darvi informazioni chiare e dettagliate nel testo che segue.
Che cosa è il Great Resignation e cosa sta accadendo nel nostro Stato
Che cos’è il Great Resignation
Nel momento in cui si parla di Great Resignation ci si riferisce ad un notevole aumento, da parte dei dipendenti, a licenziarsi.
Diverse sono le cause che portano i lavoratori a prendere tale decisione. Si parte infatti dalla ricerca di un posto capace di preservare il proprio benessere fino al desiderio di poter gestire autonomamente ogni giornata di lavoro andando a difesa del work- life balance.
Sicuramente questa situazione ha ricevuto una spinta anche dalla pandemia che ha modificato totalmente le priorità delle persone.
Per comprendere più precisamente ciò che sta succedendo, basterà analizzare i vari dati. Si tratta di numeri provenienti dalle Dipartimento di Lavoro degli Stati Uniti secondo cui, fino al mese di agosto del 2021, si è arrivato ad un valore record pari a 4,6 milioni di americani che hanno preso autonomamente la decisione di abbandonare il lavoro.
Una situazione che nel Regno Unito sta peggiorando sempre di più al punto che, nel mese di ottobre del 2021, molte sono le imprese che hanno affermato di non riuscire a lavorare proprio a causa della carenza di personale.
In base ad uno studio portato avanti da McKinsey, al livello mondiale il 40% dei lavoratori hanno deciso di trovare un nuovo lavoro durante i prossimi 4-6 mesi mentre i datori di lavoro, ossia il 53% di loro, affermano di trovarsi di fronte ad un volontario turnover molto più grande se si fa il confronto con gli anni passati.
Il 64% degli intervistati afferma invece che, secondo loro, il problema potrebbe continuare ad aggravarsi nell’arco dei prossimi sei mesi.
In poche parole la Great Resignation, o Great Attrition come viene chiamato da McKinsey, e un ostacolo che continuerà a trovarsi lungo la strada delle imprese.
La ricerca di McKinsey ha preso sotto esame circa 6.000 persone scoprendo che il 33% di coloro che si sono licenziati, ancora non avevano trovato un luogo impiego. Tutto ciò quindi spinge i lavoratori a fare un salto verso un futuro incerto.
Una situazione ribadita anche dallo studio IBM Institute for Business Value secondo il quale soltanto nel 2020, il 20% dei dipendenti hanno scelto di cambiare lavoro autonomamente.
Il Principal Analyst di Forrester, Katy Tynan, afferma che da una parte ci si trova di fronte ad una carenza di manodopera mentre dall’altra è evidente che, a causa dei cambiamenti culturali e democratici, non sarà semplice risolvere la situazione solo proponendo dei bonus di assunzione.
Inoltre, a causa della pandemia, si è premuto il piede sull’acceleratore verso il pensionamento di diversi lavoratori appartenenti alla generazione boomer. Tynan continua affermando che, poco alla volta, il mondo del lavoro sta diventando un mercato enorme in cui ogni dipendente va a “vendere” il proprio talento verso “acquirenti” che hanno voglia di competere per ottenere la loro attenzione.
Secondo Tynan, per oltrepassare tale impasse, è necessario competere sulla customer experience cercando di trovare una situazione a questo burnout utilizzando una prospettiva a lungo termine che si basi sul “No More Jobs”.
La situazione in Italia
Altri dati sono stati pubblicati dall’Osservatorio sul precariato dell’INPS, secondo il quale si è scoperto che, durante i primi sei mesi dello scorso anno, si è assistito alla cessazione di 3.322.00 contratti, con un aumento del 36%, se si fa il confronto con l’anno precedente.
Ma ciò che più attira l’attenzione è che la maggior parte di loro hanno scelto di dimettersi autonomamente.
L’associazione Italiana Direzione Personale, in precedenza, aveva reso pubblici dei dati in base ai quali il 60% delle dimissioni volontarie tra i lavoratori giovani, aveva interessato numerose aziende.
Diversi sono i settori che sono stati coinvolti maggiormente da tale evento, ossia il settore informatico digitale con il 32%, il settore della Protezione con il 28% e il settore del marketing commerciale con il 27%.
La decisioni di cambiare lavoro è stata presa soprattutto da coloro che hanno tra i 26 e 35 anni, ossia il 70% delle persone prese sotto analisi.
In base ai dati condivisi dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali riguardo alla fine dei rapporti lavorativi, durante il secondo semestre del 2021, si è scoperto che si è verificata una crescita pari al 43,7%, soprattutto tra il mese di aprile e di giugno.
Di queste dimissioni, 484.000 contratti cessati sono avvenuti volontariamente da parte di lavoratori.
Perché i lavoratori scelgono di dimettersi
La ricerca portata avanti dall’IBM Institute for Business Value, afferma che le motivazioni principali che spingono le persone a licenziarsi, risultano essere la voglia di andare a trovare un luogo di lavoro che abbia una realtà molto più flessibile e il desiderio di ottenere degli incarichi più soddisfacenti.
Nel momento in cui va a scegliere un nuovo posto di lavoro, i soggetti in questione guardano per il 51% l’equilibrio tra la vita privata e il lavoro, per il 43% l’avanzamento di carriera.
In ogni caso, una percentuale che va oltre il 40% afferma che un’importanza fondamentale è data anche dei valori del datore di lavoro nonché dall’etica, degli elementi necessari per fare in modo che possano sentirsi parte integrante del gruppo.
In base a ciò che afferma l’Osservatorio, in Italia sono numerosi i fattori che incidono sulla decisione di cambiare lavoro.
Infatti, il 46% prende questa decisione per trovare ulteriori benefici economici, il 35% lo fa per avere maggiori opportunità di far carriera, il 24% lo fa per andare alla ricerca di un posto di lavoro che possa dargli una salute mentale o fisica maggiore mentre il 18% lo fa sia per cercare di seguire i propri sogni che per ottenere una flessibilità maggiore dell’orario di lavoro.
Uno degli esempi priorità è diventato sicuramente la salute fisica e mentale. Infatti, in base ad uno studio, quattro lavoratori su dieci si sono assentati sul lavoro negli ultimi 365 giorni a causa di un problema emotivo.
Se invece si volge lo sguardo ai lavoratori più giovani, pare che sia in atto una tendenza nuova, ossia quella della Yolo Economy che spinge i Millennials a lasciare il posto fisso per aprire un’attività propria.
Tutto ciò accade perché non riescono a trovare una soddisfazione personale adeguata nel posto di lavoro. Infatti, sia per la Generazione Z che per i Millennials diventa sempre più importante il tema del well- being, ossia dell’equilibrio tra vita privata e tempo per il lavoro.
Cosa si deve fare per contenere la Great Resignation
Il Docente Leadership & Innovation del Polimi nonché responsabile Scientifico di P4I, Mariano Corso, a questo riguardo ha dichiarato che attualmente ci troviamo nel bel mezzo del Big Quit.
Ciò che sta succedendo risulta essere una polveriera che potrebbe portare l’esplosione di turnover, andando così ad intaccare anche il clima delle varie organizzazioni. Una situazione che manager e aziende non riescono a risolvere in quanto sembrano essere totalmente disarmatiti.
Continueranno a restare competitive soltanto le organizzazioni che riusciranno ad avere alcuni requisiti, ossia:
- aumentare il proprio personale;
- investire nelle competenze così che si possano trovare degli obiettivi professionali;
- progettare nuovamente le organizzazioni.
In che modo farlo? Secondo Mariano Corso, sarà necessario ascoltare realmente le persone e chiedersi che cosa possono dare di più a differenza del solo stipendio.
Ed è per questo motivo che è molto importante che le varie organizzazioni siano consapevoli del fenomeno e che comprendano il motivo per il quale il personale sceglie di andarsene.
A questo riguardo, una scoperta molto interessante è stata fatta dall’analisi di McKinsey. Sembra infatti che esista una gap tra ciò che pensano i datori di lavoro e i motivi che portano le persone ad abbandonare la propria occupazione.
Infatti, il 54% afferma di non sentirsi apprezzati dalle organizzazioni, mentre il 52% non si sente apprezzato dai manager e il 51%, non sente nessun senso di appartenenza al luogo di lavoro.
Secondo i datori di lavoro invece, la motivazione principale dei vari licenziamenti si nasconde dietro alla retribuzione nonché ad un equilibrio scarso della vita privata e lavorativa senza dimenticare la mancanza di attenzione verso la salute emotiva e fisica.
E’ facile capire che da tutto ciò ne consegue che ancora molte sono le azioni da compiere per migliorare la situazione.
Mckinsey ha voluto suggerire alcune domande che il datore di lavoro deve porsi, ossia:
- i manager sono in grado di motivare il loro team?
- Le persone assunte si trovano nel posto giusto?
- Quanto risulta essere grande la loro cultura organizzativa?
- La forza di un rapporto con i dipendenti è strettamente legata ad un pensiero economico?
- I benefit sono nella quantità che i dipendenti si aspettano?
- Come accontentare un dipendente che ha voglia di far carriera?
- Si sta riuscendo a mettere in piedi un senso di comunità?
Solo quando si riesce ad ottenere una risposta ad ogni domanda si può iniziare a mettere in piedi un nuovo modello che mette al centro le esigenze dei dipendenti.